Alessandro Zizzo, classe 1979, è un regista pugliese originario di Francavilla Fontana. In questa intervista racconta di IACO, il corto sul calciatore tarantino Erasmo Iacovone e esplicita il suo punto di vista a proposito della sua produzione filmica.

1. Chi è Alessandro Zizzo e come nasce la passione per il cinema?

La passione per il cinema nasce all’età di 11 anni dopo la visione del film “Nuovo Cinema Paradiso” di Tornatore. Ho maturato la passione per la scrittura e dopo aver seguito la facoltà di Lettere a Roma, mi sono iscritto a Scuola di Cinema. La facoltà di lettere con la quale ho concluso il percorso con una tesi in Linguistica, è stata fondamentale per quanto riguarda il cinema. Ho dato esami di storia del cinema e storia del teatro.

2. BIBLIOTEQUE: cosa ti ha portato alla scelta di un tema così sensibile e importante?

Pur conoscendo le regole di scrittura stilistica, ovvero partendo dall’idea, dal soggetto e arrivando al trattamento e alla scaletta per comporre la sceneggiatura, non ho seguito la prassi e mi sono lasciato trascinare dal percorso dei personaggi. La storia di Biblioteque è quella di un ragazzo che si chiude in biblioteca perché teme il freddo, ha una partenza imminente la sera stessa. In biblioteca incontra una ragazza e se ne innamora, ma questa ragazza nasconde un problema fisico che riconduce alla domanda dell’accettazione da parte dell’altro. Così è nato il tema della disabilità che non era, però, premeditato ed è forse per questo motivo che il corto potrebbe risultare leggero.

3. Che sensazione si prova nel vedere un proprio lavoro riscuotere tanto successo?

Il corto ha vinto 17 premi ed è distribuito in Feltrinelli. Mi piace molto vedere le reazioni del pubblico, ma preferisco sempre non fare voli pindarici.

4. IACO:  Che squadra tifi e cosa ti ha spinto alla scelta del calciatore Erasmo Iacovone?

Tifo Juve, ma anche il Francavilla, la squadra del mio paese che ora è in serie C. L’anno scorso il Francavilla e il Taranto hanno giocato per la promozione e il Corriere dello Sport ha evidenziato la comicità della situazione: un regista francavillese che gira un corto su un calciatore tarantino, anche se non c’è rivalità tra le due squadre. Ricordo che quando passavamo da San Giorgio, dove è presente la lapide di Iacovone, mio padre mi raccontava sempre la storia di questo calciatore del Taranto, morto giovane di incidente stradale. È rimasto nel cuore dei tarantini tanto che dopo due giorni dalla sua morte, gli è stato dedicato lo stadio. Il corto prodotto da Apulia Film Commission “progetto memoria” con la produzione esecutiva di Kimera Film, ha preso in carica la mia idea di raccontare la storia di Iacovone. Ho avuto a che fare con sua moglie, una persona dolcissima, e un tifoso tarantino che ci ha dato davvero una grande mano. Sono entrato personalmente nella storia e mi è sembrato di aver a che fare, anche se indirettamente, con questo personaggio. Ho scritto un giorno su Facebook che “Iaco è nel nostro cuore”, perché è entrato nel cuore di tutta la troupe, fa parte di noi.

5. LA MORTE DEL SARAGO: Chi è Mario?

Mario è il protagonista del corto de “La morte del Sarago”. Ha dei sogni, dei piccoli sogni di provincia e vive per questo, per il raggiungimento dei suoi obiettivi. È un uomo che possiede il mare dentro e ha a  che fare con gli eventi, con le tempeste del mondo. Il corto è stato prodotto da Gregorio Mariggiò per “Southclan Arts” e Rastamovie Production e vede volti noti nel cinema come Paolo Briguglia.

6. LA STAGIONE DEI FINOCCHI: Questo corto è una critica al mondo dello spettacolo e alla sua speculazione ma ancor prima è una critica alla società dei consumi nella quale prevale la visibilità mediatica alla personalità. Se il medium, nella scena finale, è la macchina da presa, chi è il destinatario dell’ultimo messaggio?

Il destinatario del messaggio è la gente. Con la televisione, e con internet, puoi gestire il mondo. La gente segue quello che accade in televisione. Se tre o quattro presentatori televisivi per un periodo dell’anno indossano una certa maglietta o camicia e diviene un gesto riconosciuto, nel giro di un mese o un mese e mezzo, la stessa maglietta o camicia inizierà ad essere indossata dalle persone. “La stagione dei finocchi” nasce, appunto, in un periodo particolare in cui la televisione ha prodotto un vero e proprio reality umano su un fatto di cronaca nel quale i personaggi erano una ragazzina innocente, una cugina invidiosa e uno zio instabile mentalmente che comunque, a volte, sembrava avesse un ruolo comico tanto da diventare un personaggio mediatico vero e proprio. Ma succede con diversi fatti di cronaca, anche con i terremoti. Ho girato un corto sul terremoto dell’Aquila nel quale ho rappresentato un gruppo di ragazzi in branco a una festa che accendendo la televisione, vedono le immagini istantanee del terremoto. Inizialmente sembrano dispiacersi, poi ricominciano a ballare. Questo perché la tragedia non li ha toccati da vicino, a nessuno di loro è crollata la casa. Anche se è una visione cinica, rappresenta la realtà. La televisione fa audience.  Ne “La stagione dei finocchi”, il protagonista è laureato in lettere con 110 e lode, sua madre gli dice di non dire che è laureato perché più volubile ti mostri, più possibilità hai di essere preso. Io ho fatto anche casting, lì si presentava chiunque perché ormai regna l’opinione diffusa che con la televisione tutti possono fare tutto ed è vero. L’ultimo messaggio, cioè ciò che dice il protagonista nella scena finale, è appunto “il mondo è qui e ciò che accade fuori è soltanto un’imitazione di ciò che noi facciamo.

7. Che tipo di rapporto instauri con i personaggi dei tuoi corti?

I miei attori devono essere molto naturali, devo poter toccare con mano la verità delle cose.

8. Una canzone dice “mi piacciono le canzoni coi finali tristi”, che tipo di fine posseggono i tuoi corti?

Preferisco i finali aperti, ad esempio in Biblioteque nella scena finale il protagonista dice: “lasci il libro sul tavolo che magari domani torno”. Lascio libera interpretazione di quello che accadrà. Mentre ne “La porta del destino”, il protagonista ha a che fare con una porta, la porta dell’amore che gli si apre ma anche qui preferisco lasciare a una libera interpretazione.

9. Quali sono i tuoi modelli d’ispirazione?

Anche se indirettamente, m’ispiro a Sorrentino. Molti mi dicono che nei miei corti ci trovano del suo. Adoro Sorrentino, mi piacciono tanto i suoi piani sequenza e i suoi movimenti di macchina, poi credo che sia bravissimo come sceneggiatore. Secondo me vale davvero la pena vedere un suo film al cinema al contrario di alcune commedie italiane con due inquadrature, piano, campo e controcampo. Vedere “La grande bellezza” a casa, è  perdere il 99% dell’importanza del film.

Redatto da: ROBERTA COMES