Direttore di Vogue China, Angelica Cheung, è diventata il referente degli stilisti che vogliono entrare nel mercato cinese.

Angelica Cheug, direttore di Vogue dal 2005 e prima ancora con Marie Claire a Hong Kong ed Elle China è stata definita dal Times di Londra “The most powerful woman” (la donna più potente).

Donna decisa e determinata, capisce benissimo di essere diventata il referente, attraverso Vogue, degli stilisti che vogliono entrare nel mercato cinese. È lucida e acuta quando descrive la situazione dei marchi e del lusso della Cina. Secondo Angelica infatti, durante un’intervista rilasciata allo stesso Vogue dice:

“Dare il lusso ai cinesi non è facile. Per loro il lusso è la ricchezza, quella nuova, che si vede. C’è ancora una grande differenza con l’Occidente. Qui esistono realtà esclusivamente cinesi che funzionano benissimo. I prodotti che arrivano dall’Occidente sono estremamente cari e spesso non sono capiti sino in fondo. Vogue China si propone proprio di aiutare i lettori a comprendere il mondo internazionale; vuole educare, accompagnare le donne nelle scelte giuste e adatte a loro. Poi rispetta i lettori perché a sua volta è rispettato dagli stilisti. Un lavoro davvero importante per il giornale, un impegno preso con tutti: produttori, designer e clienti”.

Seppur ci sia stato un calo anche in Cina nelle vendite e nei negozi, pensa giustamente che si stanno aprendo comunque migliaia di store e non sempre con prezzi adatti al mercato.

È convinta che la Cina rimanga comunque il paese su cui puntare e si adora per evolvere in continuazione il giornale in questa direzione.

Ma Vogue China, rappresentante della moda in quella parte del mondo a cui tutti i gruppi guardano con interesse estremo.

Ad “ascoltare”è Angelica Cheung, e queste parole da sole testimoniano il ruolo che la giornalista cinese ha all’interno del gruppo americano. Un ruolo di potere. E d’altra parte questo mercato ha sostenuto, e anzi spinto, i conti di moltissime società mondiali e il suo successivo rallentamento ha messo paura a tutti.

Cheung, però, è ottimista. A patto che i marchi, dice, i grandi brand globali che hanno finito per assomigliarsi un po’ tutti e che sono andati in Cina quando il consumatore non era sofisticato come oggi, si guardino dentro e ritrovino una propria identità. Un passo da fare in fretta, secondo Cheung, perché in Cina sta crescendo una leva di designer che avrà presto molto da dire. E con loro bisognerà fare i conti.