Appuntamento d’eccezione lunedì 11 luglio a Roma al Festival Trastevere Rione del Cinema con un ospite speciale: Paolo Sorrentino.

«Mi sembrava un buon modo per finirla con questo film, per liberarsene. Il film ha avuto fortunatamente una vita molto lunga, mi sembrava la cornice giusta,
il luogo giusto per far finire il suo cammino». Ha esordito così Paolo Sorrentino l’11 luglio in Piazza San Cosimato a Trastevere in occasione della proiezione de La grande bellezza versione integrale da parte dei ragazzi del Piccolo Cinema America, tra gli applausi e i sorrisi di tutti i presenti.

Mi sono affrettato per potermelo godere tutto, il suo discorso, e sin da subito ho capito che sarebbe stato uno spasso. La piazza era un via vai di ragazzi con cartoni in mano che hanno usato come protezione tra suolo e jeans, seduti per terra mentre il tramonto su Trastevere minacciava gli ultimi sprazzi di calore africano. Non c’era spazio per nessun altro in piazza, tutto pieno. Un pavimento di teste accaldate in attesa del regista da Oscar tutto italiano.
Poi arriva, sale sul palco e nel girarsi noto l’orecchino a cerchietto all’orecchio sinistro. Allora è proprio lui, mi dico. Quando prende la parola ho come l’impressione che la conversazione di lì a poco sarebbe stata amichevole, che il vincitore del premio Oscar non se la tiri per niente. Io un po’ me la tirerei.

«Quando ho deciso di venire qua era per farla finita con La grande bellezza», e l’ho pensato anche io dopo aver visto il film per almeno una dozzina di volte. Intanto il pubblico se la rideva, coccolato dal sottilissimo umorismo che solo i napoletani sanno maneggiare così magistralmente. L’incontro con Sorrentino prende una piega notevolmente dinamica, è l’interattività a reggere l’evento per tutto il tempo e così la parola viene data direttamente a chi stava seduto di fronte e che prima ascoltava. Tra le tante domande che gli sono state rivolte quella che mi ha incuriosito di più, e che faccio anche mia, è stata quella sul legame tra La dolce vita di Fellini e il suo film a cui ha risposto così :«Il legame con la dolce vita di Fellini sta nell’assunto, secondo me, che teneva in piedi La dolce vita, ossia che la vita costellata di gioia, di benessere, di allegria e di divertimento si poggi invece su una inspiegabile e impalpabile forma di sabbie mobili. Questo mi sembrava l’assunto de La dolce vita ed è anche, molto presuntuosamente e ambiziosamente, l’assunto del mio film. Però qui finisce l’assonanza, c’è un tema di fondo che secondo me riguarda entrambi i film, ma che ne riguarda tantissimi altri». Del resto la domanda sembrava retorica eppure la metafora con le sabbie mobili ha reso la risposta un po’ meno ridondante.

A Napoli per dire che qualcosa è stata pienamente di tuo gradimento si dice “Ah m’agg arricriat!”e a fine serata l’ho pensato anche io sull’onda della solarità con cui il Maestro ci ha intrattenuti. Per esempio quando all’ultima domanda di una ragazza sul perché avesse utilizzato una giraffa di dimensioni sproporzionate in una scena del film, lui mi ha guardato, fra parentesi mi sono sentito come quando sei ad un concerto nelle prime file e ti fissi sul cantante convinto che lui stia fissando te e vorresti che tutto l’universo lo sapesse, ha assunto l’espressione di uno che sembra cadere dalle nuvole per poi rispondere che lo ha fatto solo ed esclusivamente perché gli piacciono le giraffe e perché nei suoi film cerca di inserirvi quante più cose possibili gli piacciono. Quindi dietro la complessità delle sue opere, dietro la dinamicità delle scene e l’apparente inganno che ci trasmettono, c’è una semplicità disarmante raccontata con altrettanto disarmante imbarazzo. Sì perché il vincitore del premio Oscar era evidentemente in imbarazzo di fronte al pubblico e in più riprese lo ha anche ammesso. Questo mi ha incuriosito non poco, mi ha fatto riflettere su come sia possibile che un regista che ha vinto il premio più ambito in circolazione, che ha varcato palcoscenici internazionali, possa ancora imbarazzarsi davanti a qualche centinaio di persone. Poi ho ragionato e non c’è niente di strano, lo strano semmai sono stato io ad aver pensato il contrario. Insomma credo che inavvertitamente Sorrentino ci abbia trasmesso molta umiltà, che fra tutte è la qualità che lo rende un Maestro.

A fine serata si è gentilmente concesso al pubblico antistante il palco che lo ha sottoposto ad occhio e croce ad un centinaio di selfie.

Redatto da: VINCENZO TIRITTERA