Ma il Giusto cos’è?

Di Vincenzo Tirittera

A causa di una serie di strane coincidenze ieri ho riflettuto parecchio.

Da pochi giorni è entrato in commercio (ed anche uscito per quanto mi riguarda) il nuovo iPhone 7. Allorché, da grande amante della casa produttrice di Cupertino, ho deciso di vendere il mio “vecchio” iPhone per accaparrarmi il più ambito e nuovo tra gli smartphone. Quindi ieri l’altro, dopo aver concluso la trattativa privatamente con un signore sulla cinquantina che prometteva di regalarlo alla figlia sedicenne, mi avvio verso lo store più vicino, privo per la primissima volta del telefonino.

Libero come un uccello. O in gabbia?

Faccio la fila per entrare e questo mi rende particolarmente ansioso, mentre i pensieri dei passanti casuali urlano insulti come “Capra! Capra! Capra!” trasmessi a me dalle espressioni dei loro volti. Capisco sì che saranno andati a ruba, ma almeno uno per me ce ne sarà. Quando arriva il mio turno il ragazzo all’ingresso con l’auricolare scorre l’indice sul display del tablet, mi ascolta annuendo e poi mi liquida con un “Sono terminati. Non sappiamo quando arriveranno, se arriveranno. Chiami questo numero. Arrivederci ”. Esco con l’aria abbattuta di un cane ammonito con dei secchi e ripetuti No!.

Piove, sono in scooter e per di più non posso pubblicare questa triste storia su Facebook. Faccio il giro di altri punti vendita tra i più importanti di Roma, raggiunti con notevole difficoltà perché privo del navigatore satellitare, ma la risposta è sempre quella: terminato. E’ ragionevole mi dico, mica siamo in Danimarca.

Tornato a casa infilo la Sim in uno smartphone vecchio di tre anni e mi accorgo di poter utilizzare tutte le applicazioni del mio vecchio iP con l’unica differenza che i tempi si sono raddoppiati; qualsiasi azione voglio svolgere questa impiega il doppio del tempo per avviarsi, rispetto al più performante iPhone, si intende. Ma funziona: esegue alla perfezione le mie direttive. Solo che per le menti abituate ad una certa velocità di reazione (che ad oggi è straordinaria) aspettare qualche frazione di secondo risulta già troppo. “Check Facebook. Anzi no. Troppo lento” oppure “Scroll tattico Instagram. Anzi no”. Eppure quei tempi di attesa (morti) mi lasciano qualche istante per riflettere, mi lasciano il tempo di guardarmi intorno, letteralmente di staccare gli occhi dallo schermo e identificare con accuratezza l’ambiente che mi circonda. Soprattutto quando lo lancio in Stand by. Di rientrare a far parte della vita reale senza filtri.

Lo utilizzo per qualche ora fino a quando la prima riflessione mi sorge spontanea, sopra tutte: e se risparmiassi tutto questo danaro? E se guadagnassi tutto questo tempo?

A quel punto attanagliato dalla dubbio e con la mente al portafogli, provo a distrarmi con un film scelto a caso, senza premeditazione: “A thousand words” che in Italia diventa “Una bugia di troppo”. E’ la storia di un agente letterario abituato a vincere, ostinato e pieno di sé. Continuamente alla ricerca di affari da concludere, si ritrova a dover fare i conti con una vicenda dai contorni mistici, dove per venirne fuori vivo (proprio così) dovrà ridurre notevolmente le parole che pronuncia, tentando altri metodi per comunicare. E ce ne sono: non si può non comunicare, primo assioma della comunicazione. Alla fine, tagliando le parole e rallentando il suo stile di vita frenetico, il protagonista raggiunge un stato di riflessione tale da portarlo a risolvere i suoi problemi più reconditi, ritrovando addirittura se stesso e la famiglia.

Il confronto è scattato immediatamente, così come la seconda riflessione: ciò che rende la mia storia (o quella di tutte le vittime della tecnologia portatile) simile a quella di questo film è che sarebbe preferibile ridurre il tempo che si dedica alla realtà virtuale per evitare di venire risucchiati in un vortice di frenesia ed egocentrismo volteggianti. Metaforicamente ci permetterebbe di alzare la testa. E per guardare una persona negli occhi la testa non può stare bassa.

In sintesi devo stare zitto. Devo stare fermo. Devo togliere i social network dalla routine. Devo scollare gli occhi da quei 4.7 pollici di infiniti contenuti. La frenesia, la fretta, la distrazione e la noncuranza mi saranno fatali. Mi toglieranno del tempo che altrimenti spenderei per comunicare con gli altri, guardandoci negli occhi. Se non utilizzi Facebook potresti leggere un libro, potresti goderti il panorama da un finestrino, potresti innamorarti platonicamente della tizia seduta di fronte sul bus e potresti fare quella cosa chiamata conversazione. Potresti provare un sacco di emozioni accantonate in un angolo per troppo tempo.

 Stamattina in metro ad esempio, per colmare l’assenza di tecnologia, ho letto tutto il mio quotidiano preferito. Tutto. Ho capito perché votare sì o votare no al Referendum Costituzionale, ma se l’amore della mia vita fosse stata seduta di fronte a me non l’avrei vista. Perché leggevo.