La cultura ci segna, è inevitabile, ogni nazione porta i segni del proprio bagaglio culturale in ogni cosa che circonda l’uomo: si vede la cultura in ciò che mangiamo, in cosa leggiamo, nei posti che abitiamo e inevitabilmente in quello che indossiamo.

Ad oggi il mondo occidentale fatica ancora un po’ a comprendere la cultura orientale ed il modo in cui si manifesta nelle creazioni di moda. Ovviamente i gusti son gusti ma soprattutto quando si parla di design giapponese e limitativo parlare di bello o brutto, non si può nascondere la sua portata rivoluzionaria.

Quello che accade nella moda giapponese si chiama decostruttivismo e designer come Miyake, Yamamoto e soprattutto Kawakubo ne sono dei veri pionieri.

Già in uso dagli anni ’70, il decostruttivismo parte da un rifiuto di omologarsi agli schemi imposti dalla moda a favore di un percorso più concettuale; l’abito perde le sue sovrastrutture e i decori, si decompone e ricompone a favore della sperimentazione di nuove forme e volumi.

Al contrario della cultura occidentale che tende ad esaltare e spesso ad ostentare le forme, soprattutto femminili, la cultura orientale ha una visione differente del corpo e in moda si traduce in capi spesso oversize che anziché celebrare le misure del corpo puntano l’attenzione sulla costruzione del capo.

Gli abiti destrutturai sono quasi sculture che hanno lo scopo di aprire la mente di chi guarda a nuove opportunità e nuove soluzioni con capi d’abbigliamento che si indossano al contrario o capispalla composti da sole maniche.

C’è una grande rivoluzione in questo movimento stilistico, nel modo in cui si riesce a presentare il caos, la sovversione ed il totale sconvolgimento delle regole in maniera tanto pulita e raffinata come nel caso di Comme Des Garcones o Junya Watanabe,

Questa tendenza stilistica ha generato un ponte di congiunzione tra il mondo occidentale e quello orientale e sono sempre di più i designer che sconvolgono il fashion-sistem facendo propri i principi del costruttivismo come Martin Margiela o Viktor & Rolf.