Si definisce una sognatrice e cantastorie, ispirata costantemente dalle note soft del jazz e del blues e da quelle più strong del rock, ma con le sue illustrazioni –che lei ama chiamare Post-It–  Federica Fiocco, in arte su Instagram come La Aggy, esprime in maniera istantanea pensieri e stati d’animo del momento volgendo anche lo sguardo a temi delicati come la violenza sulle donne. Abbiamo avuto il piacere di intervistarla e tra una domanda e l’altra, di cui l’arte in tutte le sue sfumature sembra essere la grande protagonista, ci ha svelato qualcosa in più riguardo al suo lavoro e ai dei progetti futuri.

Ciao Federica, ti presenteresti a nostri lettori?

Sognatrice e Caffeinomane. Distratta per la maggior parte del tempo. Quando viaggio mi piace ascoltare il silenzio dei paesaggi fuori dal finestrino. Credo che la vita segua un ritmo jazz. Sono nata a Mestre, le mie radici sono calabresi e bresciane, ma da molti anni vivo tra Roma, Rieti e l’Aquila. Il risultato è un accento simil toscano, che non so nemmeno io da dove provenga. Sono diplomata in Grafica d’Arte e Progettazione multimediale e sto concludendo la Specialistica in Grafica presso l’Accademia di Belle Arti di L’Aquila. Mi chiamo Federica, sono una grafica freelance e nei momenti in cui non rischio di inciampare su me stessa, alleno la mia creatività.

Quando è nata La-Aggy?

Io credo che Aggy esista da sempre. Da quando a cinque anni entrai per la prima volta nello studio di pittura di mio nonno, tra le note di Louis Armstrong, i cavalletti, l’odore dell’acquaragia e il profumo dei suoi colori a olio. Aggy c’era già quando avevo quattro anni, nelle manine curiose che afferravano le scatole di colori che mi regalavano i miei genitori e nell’infinita quantità di scarabocchi con cui ho marchiato le pareti di casa e le agende del mio papà. Non si tratta semplicemente di uno pseudonimo (nato per gioco molti anni fa) al quale mi sono legata nel tempo. Aggy è la mia necessità creativa. Aggy sono io. E l’articolo “La” è un rimando alla mia infanzia in Veneto, terra alla quale sono profondamente legata perché è lì che, in ogni gioco, in ogni attività, ho cominciato a sviluppare la mia sensibilità percettiva, che oggi si esplicita nelle cose che realizzo.

 Cosa esprimono le tue illustrazioni?

Non sono solita definire le mie immagini con il termine “illustrazioni”, ma piuttosto come “composizioni di post-it”. Dico ironicamente “composizioni” perché la musica è una costante nella mia vita e forse la principale fonte di ispirazione del mio lavoro. Al tempo stesso parlo di “post-it”. Quando si appuntano dei pensieri su un pezzo di carta, alla base c’è sempre la necessità di fermarli, di liberare la mente mettendo nero su bianco quel qualcosa che ci ronzava per la testa e che ora è lì, davanti a noi, attaccato al computer, in mezzo all’agenda, sullo specchio, su di una bacheca. Ovunque. Al tempo stesso i “post-it” possono essere un’esortazione, messaggi brevi ed efficaci, per comunicare con noi stessi ma anche con gli altri. Dietro alle mie “composizioni di post-it” c’è la stessa dinamica: sono improvvisazioni jazz, fotografie dei miei pensieri, istantanee di stati d’animo che ho bisogno di esplicitare e condividere per non dimenticare, riflessioni sulla realtà che mi circonda e vivo. Pensieri che si sostanziano attraverso una grafica semplice e minimale, fatta di linee stilizzate, effetti ottici e tre soli colori, che vorrebbero trasmettere messaggi universali, spero in maniera semplice e diretta. “Post-it” è anche da intendere in senso letterale: è un invito alla condivisione sul web. Da grafica quale sono, canali social come Facebook, Behance e soprattutto Instagram, sono le piattaforme di maggiore diffusione dei miei lavori. Anche per questo la scelta di definire i miei lavori “post-it”, che se da un lato li qualifica, dall’altro invita chi ne fruisce a diffonderli il più possibile “postandoli”, oltre che sulle bacheche reali, anche su quelle virtuali.

 Ti definisci una cantastorie, da cosa e/o dove trai ispirazione per la realizzazione delle tue opere?

Sono stata abituata sin da piccola ad ascoltare tantissima musica: dalla classica al jazz, dal blues alla bossa nova, dall’elettronica ad ogni declinazione del rock, dal cantautorato al pop ecc. Mio padre ha la passione autodidatta della chitarra e io quella per il canto. Molti nella mia famiglia suonano. Alcuni dei più cari amici dei miei sono musicisti e ricordo che da piccola, quando si cenava insieme, la serata si concludeva quasi sempre tra vinili e jam session blues. Molti tra i miei amici più stretti fanno questo mestiere o hanno a che fare con questa dimensione. Tutto ciò mi influenza inevitabilmente ogni giorno. Credo che la musica abbia un ruolo significativo e soprattutto affascinante nella vita di ciascuno di noi e di questo ne hanno parlato in tantissimi, molto meglio di me, da Platone a Nietzsche a Kandinskij e tantissimi altri. Non è solo è una scelta di vita dettata dalla passione di chi vi si dedica attraverso lo studio di uno strumento o della composizione. È una fonte universale di intime suggestioni (quindi anche visive) per chi l’ascolta, in solitudine o in compagnia, e vi collega un significato, un valore, un ricordo di un momento della vita. La musica è fortemente connessa a quello che abbiamo dentro, al nostro vissuto, alle nostre storie. Ed è per questo motivo che mi definisco “cantastorie”: perché con il mio lavoro provo a raccontare qualcosa, utilizzando il linguaggio al quale mi sento più incline e cioè la comunicazione visiva. E le storie che rappresento sono ispirate principalmente dalla musica di cui mi nutro e che fa parte di me, che strimpello o canto. Ma sono anche frutto della contaminazione di altre forme di arte come la letteratura, il teatro, l’architettura, la fotografia, la danza, la cinematografia: sono il risultato della mia curiosità e delle mie esperienze personali.

Le donne da te disegnate non hanno un volto, cosa si cela dietro questa scelta?

I miei lavori sono suggestioni contemporanee al femminile, riflessioni, idee che hanno intorno una linea, un contorno, come diceva Bruno Bozzetto, che definisce e racconta esperienze personali ma anche comuni a ogni donna e l’assenza dei volti nelle mie figure vorrebbe farsi portavoce proprio di questa universalità: nei miei post-it può riconoscersi ciascuna donna, senza distinzioni.

In un periodo triste per la nostra storia in cui la violenza sulle donne è quasi all’ordine del giorno, tu hai risposto lanciando una serie illustrata dedicata agli abusi femminili. Ce ne vuoi parlare?

 I post-it ci aiutano a scongiurare il rischio di dimenticare qualcosa che è importante ricordare, ed è per questo motivo che l’ultima serie che ho realizzato tratta la tematica della violenza sulle donne. Un argomento estremamente delicato, a me molto caro, nei confronti del quale mi interesso da circa un anno, anche su altri fronti non direttamente collegati al mio lavoro. Esistono molteplici tipologie di violenza e i contesti in cui essa si insinua si snodano dal pubblico al privato. E non si tratta di realtà da reportage televisivo ma spesso e volentieri di situazioni molto più vicine di ciò che immaginiamo. Ultimamente si sta discutendo moltissimo sul tema degli abusi femminili, forse a tratti anche in modo strumentalizzato, purtroppo. E sottolineo “purtroppo” perché la strumentalizzazione di tematiche così delicate e ricche di sfumature interpretative dà adito, in un clima generale di forte ignoranza e analfabetismo funzionale, a qualunquismi e “riflessioni” squallide e maschiliste, elaborate a volte anche dalle stesse donne, cosa che ritengo gravissima. È bene che si faccia chiarezza su questa tragedia sociale. E io nel mio piccolo ho scelto di provarci “illustrando”, anche nel senso latino del termine. È bene che se ne parli in modo così diffuso e martellante perché portare alla luce un problema permette un confronto, oltre che una sensibilizzazione generale. Il confronto, generalmente, alimenta (si spera) una presa di coscienza e quest’ultima, a sua volta, determina la ricerca di una soluzione, nella migliore delle ipotesi. E quello a cui bisogna cercare di puntare è proprio questo: che il confronto costante, e quindi la presa in atto, permetta alle donne di rompere il silenzio, di non dimenticare, di non soffocare gli abusi subìti in passato o che vivono quotidianamente. Il confronto amplificato è necessario, non solo per non far sentire sole e abbandonate le donne più fragili, che sono tantissime, ma è fondamentale per far trovare il coraggio e la forza di reagire, nell’ottica di sconfiggere questa piaga terribile.

 Quali sono i tuoi progetti futuri?

Come ho detto all’inizio dell’intervista sono una sognatrice e questa mia natura mi porta a non fossilizzarmi, ma ad impegnarmi sempre in qualcosa di nuovo. Ho alcuni progetti tra le mani e tanti altri in mente per il futuro. Ma sicuramente quello a cui tengo di più è allenare costantemente la mia creatività, quindi la fantasia, l’immaginazione e tutto ciò che le è connesso, per concedere alle cose che credo di conoscere l’opportunità di sorprendermi, sempre.