Di Vincenzo Tirittera

Cosa succede quando un principe tedesco incontra, si innamora e sposa una delle più ricche ereditiere industriali italiane?

Immaginate di poter avere tutto dalla vita, dai beni materiali alla fama e al carisma, dalla brillantezza scintillante che emana la vostra persona (anche stando seduti su un water con le braghe calate, io credo) a un conto in banca con molti, molti zeri.

E’ da qui che nasce Egon von Fürstenberg: figlio del principe tedesco Eduard Egon Peter Paul Giovanni von und zu Fürstenberg (che neppure io ho letto per intero senza intonarci una canzoncina) e di Clara Agnelli sorella dell’avvocato Giovanni – detto Gianni – famiglia di industriali italiani a capo della prima industria automobilistica della penisola, della squadra di calcio più prolifica della penisola e insomma, primeggiano in diversi ambiti. Nato nel 1946 vive i suoi vent’anni in un periodo strabiliante: gli anni ’70. Tappa importante per i giovani di quel tempo e del nostro tempo, furono proprio gli anni settanta a regalarci personaggi ancora oggi apprezzati e considerati inarrivabili, simboli di trasformazione e di libertà.

Fossi stato io, Egon, a 14 anni, avrei avuto un tantino le idee confuse su cosa fare della mia vita ma poi, sedendomi con la testa fra le mani, sarei arrivato alla conclusione che della mia vita avrei potuto farne quel che mi avrebbe fatto più piacere. E avrei senza dubbio primeggiato in qualsiasi ambito potendomi, ad esempio, permettere le migliori scuole e la miglior formazione possibile, senza contare il nome con cui mi hanno battezzato. Così il giovane Fürstenberg, evidentemente di animo sensibile oltre che nobile, decise di lasciar perdere di fare l’economista e di occuparsi di qualche azienda di famiglia già avviata per intraprende un percorso che probabilmente fece storcere il naso ai suoi. Anzi, non a tutti. Decise di fare lo stilista di moda. “Ho sempre adorato la moda” – disse – “Fin da bambino sono sempre stato circondato da donne elegantissime”. E a dargli manforte fu l’approvazione da parte dello zio, l’Avvocato Gianni Agnelli, che lo battezzò e lo seguì durante i suoi studi con particolare adorazione in quanto, Egon, suo primo nipote maschio. Prosegue poi: “Un giorno mio zio mi disse: per avere successo bisogna fare ciò che si ama. Dunque fai moda”

Vola negli States, si iscrive alla Parson’s School of Design e nel frattempo inizia a lavorare per Macy’s: nota catena di grande distribuzione americana che si occupa di abbigliamento, calzature, mobili, gioielli, articoli per la casa e cosmetici. E’ da qui che prende forma il suo estro, fatto di classicità ed eleganza e proprio a partire dall’esperienza con Macy’s, la sua, sarà una carriera piena di successi.

Sull’onda dell’egoismo, anzi dell’edonismo e azzardiamo pure reaganiano, scrive diversi testi indirizzati al genere maschile tra cui “Un vero signore si veste”, “Una guida per uomini soli” e “Il meglio del meglio”.

Considerato il ribelle della famiglia, nei primi anni di attività spolvera questa diceria portando in passerella pittoresche gag (una su tutte un abito da sposa indossato da un transessuale) che però abbandonò preventivamente, affidandosi piuttosto a una “normale” esposizione di cotanto talento sviluppando abiti portabili più vicini al pret-à-porter che alla haute couture. Rimane celebre la dedizione con cui disegnava gli abiti di una o dell’altra tipologia di linea, medesima in entrambi i casi.

Aveva ben 30 licenze, che gli permisero – oltre l’abbigliamento – di spaziare su altri territori come divani o bomboniere d’argento. Esempio di umiltà disegnava per le principesse e per l’Upim, denotando un forte spessore umano accompagnato pure dal sorriso perennemente stampato sulla sua bocca che in tanti ricordano come una delle prime qualità. Uomo di sostanza e stile, amava le donne e ne sposò due anche se, nel 2000 in occasione del Gay Pride a Roma, rilasciò un’intervista a La Repubblica dichiarando la propria omosessualità e confidando che tutti, in quell’ambito, sono gay.

Una malattia misteriosa (volutamente tenuta tale dalla famiglia) lo portò alla morte all’età di 58 anni.

Egon a discapito delle responsabilità di cui forse involontariamente doveva farsi carico, è stato un ragazzo brillante ma, e soprattutto, coraggioso. Destinato a una vita da economista si cimenta in tutt’altro, inseguendo con caparbietà e motivazione (vedi sopra quando dico che lavorava e studiava) il suo personalissimo sogno.

Forse agevolato dai soldi e dalla fama riesce a fare il lavoro che voleva fare, ma è morto come una persona normale, spirato a causa di una malattia che la ricchezza non ha saputo affrontare e sconfiggere, portandolo, come più volte lui stesso aveva fatto in vita, a confrontarsi con il pret à porter, con la massa, alla visione comune e naturale di un uomo non ricco ma pur sempre un uomo.