“I Vestiti dei sogni” la mostra che a Palazzo Braschi ha messo in scena una collezione di abiti  creati dai grandi costumisti italiani per il cinema.

La mostra «I vestiti dei sogni», realizzata dalla Cineteca di Bologna si presenta con oltre cento vestiti originali, cui si aggiungono bozzetti e oggetti tra i quali anche la pressa che Donati costruì per foggiare i costumi dell’Edipo Re di Pasolini. I protagonisti sono i Premi Oscar Piero Tosi, Danilo Donati, Milena Canonero e Gabriella Pescucci. L’arte dei costumi continua a raccogliere premi internazionali d’ogni genere e sorta, Oscar inclusi, una mostra dedicata a una delle grandi eccellenze dell’Italia, impaginata con un percorso cronologico che muove dalle origini della Settima Arte, il muto e le sue dive per giungere fino ai giorni nostri con l’omaggio a La grande bellezza.
Si va dunque dall’abito Delphos di Fortuny di Lyda Borelli, alle colorate giacche di Tony Servillo in La Grande Bellezza. Un’arte nell’arte la filmografia parla da sé: Tosi, premio alla carriera (2013), fedele collaboratore di Visconti a autore degli abiti-icona del Gattopardo; Canonero e le sue quattro «statuette» per quel capolavoro che è Barry Lyndon di Stanley Kubrick, per Momenti di gloria, per la Marie Antoniette di Sofia Coppola e per Grand Budapest Hotel di Wes Anderson; Donati, vincitore nel 1969 per Romeo e Giulietta di Zeffirelli e nel 1977 per Il Casanova di Fellini; Gabriella Pescucci, premiata per L’età dell’innocenza di Scorsese, Gherardi che trionfa per La Dolce Vita e 8½, Novarese che firma i vestimenti di Cleopatra e Cromwell, Franca Squarciapino, Oscar per i costumi di Cyrano de Bergerac. Roma, la Hollywood sul Tevere, fa da sfondo ad una riunione di alti prelati a San Pietro con Papa Innocenzo X in un grande quadro di Pier Luigi Ghezzi che fa da cornice ai costumi-sculture per la sfilata clericale di ”Roma” di Fellini creati da Danilo Donati, o gli abiti cardinalizi di Lina Nerli Taviani per ”Habemus papam” di Moretti, intervallati da busti marmorei di cardinali della Santa Romana Chiesa. Costumi e disegni non solo di Oscar ma anche gli abiti per Guerra e Pace di King Vidor che la de Matteis inventò per Audrey Hepburn o a quelli creati per Blasetti e altri registi da Gino Carlo Sensani, pioniere e maestro di un’intera generazione. La mostra non è una semplice galleria di abiti ma prova a far emergere il senso di una vera scuola che ha fatto grande il cinema, una scuola in cui rientrano di diritto anche le maison che hanno realizzato questi costumi: da Tirelli e Farani specializzate nel settore, a quelle più generaliste (Gattinoni), alle varie Peruzzi, Annamode, Attolini.
La mostra è divisa in due parti: percorso principale e collezione permanente. Quest’ultima è la parte più libera in cui i costumi dialogano con i dipinti esposti nella collezione. Tra gli abiti, quelli di un film che si è appena finito di girare: i costumi realizzati da Massimo Cantini Parrini per il nuovo film di Matteo Garrone, Il racconto dei racconti. Un’opera che ancora deve vedere la luce dello schermo, e i cui abiti ci ricordano che la storia del costume cinematografico italiano ha radici antiche e un promettente futuro.
La sfida della mostra era anche quella di trovare una chiave espositiva. I costumi sono creati per vivere indossati, dagli interpreti, durante il breve tempo delle riprese, e poi per sempre nelle immagini dei film. Esibirli al di fuori di quel contesto rischia sempre di trasformarli in fiori appassiti. Per questo uno dei più valenti direttori della fotografia del cinema contemporaneo, Luca Bigazzi, ha immaginato per i costumi esposti un percorso di luci, che è stato realizzato da un artigiano eccellente e gran sperimentatore della luce, Mario Nanni, e dalla sua Viabizzuno. Sono luci magiche, velate naturalmente, che restituiscono alle stoffe, ai colori che abbiamo visto sullo schermo, una vita presente nella quale abbiamo il privilegio di trovarci anche noi, spettatori che avevano già conosciuto gli stessi costumi nel sogno della proiezione cinematografica.

Credits: PALAZZO BRASCHI

Redatto da: CLAUDIA PALOMBI